tag foto 4 tag foto 4 tag foto 1 tag foto 2 tag foto 3 tag foto 4

La rubrica di Gap



Gravity


Gravity è un film da capogiro ed è davvero un film che fa vomitare... vogliamo  forse dire che è allo stesso tempo bello, ma brutto? 

Assolutamente no, vogliamo proprio dire - fuor di metafora - che è un film che fa venire il mal di testa e che mette lo stomaco sottosopra, a causa delle giravolte che la telecamera fa compiere allo spettatore (specie nella prima parte del film) con continue focalizzazioni in prima persona sulla dottoressa Ryan Stone ( Sandra Bullock) alla deriva nello spazio. 


Senza punti di riferimento nel nulla cosmico, stelle e pianeti ci schizzano davanti belli e inquietanti. 
Tutto ciò mentre si continua a volteggiare impotenti nello spazio e una voce (quella di George Clooney nella parte Matt Kowalsky) ci avverte che l'ossigeno scarseggia e che agitarsi peggiora soltanto la situazione. La stessa voce ci ordina di tornare in noi, di riprenderci razionalità e lucidità, di orientarci e trovare le coordinate per poter essere recuperati... e nel frattempo si gira e si gira e si rigira. 
Insomma come si suol dire: vietato ai deboli di stomaco!


La pellicola ha ottenuto ben 10 candidature agli Oscar, vincendo 7 pelatoni d'oro: Miglior regia ad Alfonso Cuarón, Migliori effetti speciali, Miglior fotografia, Miglior montaggio, Miglior colonna sonora, Miglior sonoro e Miglior montaggio sonoro.
La lista dei premi è eloquente: fotografia, effetti speciali e sonoro sono le colonne portanti del film e riescono a restituire quel senso di solitudine "cosmica" che fa da sfondo all'impresa della Bullock - ritornare sulla Terra dopo che il telescopio spaziale Hubble è stato distrutto da una pioggia di detriti.


Non aspettatevi dei chiacchieroni: nel film ci saranno al massimo tre battute, di cui due saranno bruciate all'inizio del film. La pellicola si sviluppa quasi in silenzio - un effetto che amplifica il senso di desolazione e di vuoto - se non fosse per l'accompagnamento musicale del compositore Steven Price e per il respiro dei personaggio nella tuta spaziale... insomma non è il massimo dell'adrenalina, nonostante la situazione angosciosa e ansiogena. Certo George Clooney ha qualche battuta in più, con il compito di portare un po' di sano ottimismo, ma il silenzio in definitiva la fa da padrone. 




Dunque sì, Gravity può annoiare per il suo ritmo, ma regala ai tenaci (e ai duri di stomaco) delle scene eccezionali, potenti, evocative, scene che sorreggono la "rinascita" alla vita e alla voglia di vivere della dottoressa Ryan Stone. 
Senza anticipare nulla sull'esile trama (basata sullo schema "andare dal punto A al punto B"), riportiamo qui di seguito uno dei momenti - a nostro avviso - più significativi del film: la dottoressa Stone, appena spogliatasi della tuta spaziale e dopo il duro percorso tra le stelle, si stringe in sé, si pone in posizione fetale e chiude gli occhi, come se il satellite fosse un ventre materno, come se aspettasse il parto, la vita nuova dopo la catastrofe dell'Hubble. E ancora senza anticipare nulla, un certa scena catartica potrebbe effettivamente esser vista come il parto atteso della dottoressa.


Per concludere, il film è bello, è angosciante ed è noioso... per cui se avete pazienza (e non avete mangiato nulla di pesante), allora guardatelo e non ve ne pentirete, se invece volete qualcosa di più "leggero e veloce", allora rivolgetevi altrove.





Una commedia acida




Diciamolo subito: non aspettatevi un simil-Breaking bad concentrato, compresso, spalmato in un'ora e mezza. Ma diciamo subito pure un'altra cosa: Smetto quando voglio non voleva affatto essere un simil-Breaking bad di un'ora e mezza.

La serie di Vince Gilligan è palesemente ripresa, adattata, parodiata in molte situazioni, ma a cambiare (e non di poco) le carte in tavola è il genere di appartenenza.Breaking bad è una serie, una serie drammatica che sfrutta i meccanismi collaudati del thriller americano; Smetto quando voglio è invece un film, una commedia che vuol far ridere con la sua leggerezza.
Il giovane regista Sydney Sibilla riesce nell'intento: il film diverte, senza proporre le situazione claustrofobiche, difficili e da cardiopalma tipiche di Breaking bad (anche se nel finale ha più di qualche sorpresa... ma non spoileriamo nulla).







«Ma che c'hai in faccia?»
«Ehm, no... è un rimasuglio d'un cazzo.»






Sette ricercatori di fama internazionale, ormai cacciati dall'università, occupati in lavori malpagati e ovviamente in nero, sintetizzano una nuova droga e decidono di darsi allo spaccio.
L'occhio strizzato a Bryan Cranston e ai suoi è già molto evidente... ma se si pensa che sopra quell'occhio il protagonista Pietro Zinni (l'attore Edoardo Leo) si ritrova disegnato un cazzo con un pennarello indelebile, si capisce subito la distanza che corre tra lui e Walter White.










«Tu sei laureato!»
«Non so' laureato, io...»
«E io so' stato chiaro: non assumo laureati!»







Che la laurea sia "un errore di gioventù del quale sono profondamente consapevole" (la battuta è di Pietro Sermonti, nel film Andrea l'antropologo), lo stanno pensando in molti ultimamente.
Nel film i temi della crisi, della crisi dell'università, della giustizia extra-legale, della criminalità  non sono aggrediti e affrontati, ma sono estremizzati e caricaturali - cosa legittima per una commedia.
In un primo momento ci si potrebbe ingannare pensando che il regista voglia offrirci quel riso-amaro, che un po' fa ridere per i personaggi a schermo, un po' fa ridere di noi stessi, ma ci vuole poco per capire che l'unica vera priorità è la risata (ricordate il cazzo sulla fronte?): ridere, citare e magari fare le due cose contemporaneamente.
Molo lucidamente lo stesso regista, Sydney Sibilla dice: «Smetto quando voglio è una commedia acida, parodistica e ultra citazionista, in cui il dramma sociale viene ripreso solo ed esclusivamente come espediente comico.
Siamo partiti dalla realtà come si faceva nella commedia all'italiana, e ci siamo lasciati contaminare dal cinema americano contemporaneo, mettendo nel film tutto quello che ci piace. Quello che Tarantino fa con i film italiani noi abbiamo provato a farlo con i prodotti americani. Ne è venuta fuori una sorta di Soliti Ignoti al tempo di Ocean's ElevenThe Big Bang Theory e Breaking Bad

La direzione intrapresa è sicuramente quella che il pubblico italiano vuole ed attende da tempo. Il paragone con Tarantino è molto ottimistico, ma fa ben sperare.



Il risultato insomma ci è piaciuto, nonostante qualche personaggio un po' troppo statico e poco credibile. Perciò festeggiamo alla Lars von Trier gli incassi del film, così come ha fatto il cast di Smetto quando voglio.













Tre buoni motivi per cui guardare (o ri-guardare) La Grande Bellezza



L'ho visto al cinema, poi l'ho rivisto al cinema e tra poco lo vedrò in Blu-ray, prima di rivederlo ancora in Blu-ray.
Eccessivo e festaiolo è dir poco, riflessivo e malinconico è dire ancora meno... tutti questi aggettivi stanno lì a guardare e a squadrare il film, senza riuscire a prenderne le misure!
Vi propongo tre motivi per (ri)guardare  il capolavoro che ci porterà con la sua ricchezza agli Oscar.



1 A FAR L'AMORE COMINCIA TU - Un turista morto guardando Roma (ma non era vedi Napoli e poi muori?), feste su attici che danno sul Colosseo, slow-motion su un Servillo monologante tra le note della Carrà, un custode di chiavi, the princess Ferilli, una capocciata artistica su muro, L'apparato umano, santi ciarlatani e ciarlatani santi ... O.o

2 A GAME OF ROME - C'è un nano, o meglio, c'è una nana e da quando Tyrion Lannister è apparso nei nostri schermi sappiamo che i nani danno due, tre, quattro marce in più. Non è vero che hanno ilcuore troppo, troppo vicino al buco del culo.

3 BELLA GRANDEZZA - Perché La Grande Bellezza è davvero bella e non solo per il fatto che io e il protagonista abbiamo quasi lo stesso nome, non solo per i basettoni di Sorrentino, non solo per il sorriso sornione di Servillo, ma perché nel suo complesso è uno di quei rari, rarissimi film che ti fanno sentire in pace col tuo tempo... e suonerà banale, suonerà sciocco, ma per me suona come la verità.




E allora chiederei a Gep Gambardella:chi meriterà l'Oscar?
«A questa domanda, da ragazzi, i miei amici davano sempre la stessa risposta:" La fessa."»


Speriamo di vederne tanti altri di film così! Forza Sorrentino! 






Tre buoni motivi per cui Breaking bad non doveva finire



Chi non è rimasto affascinato da W. W. o è un pazzo, o è Mike Ehrmantraut, o è nato e morto prima del 20  Gennaio 2008 (per esempio se l'ammiraglio Nelson e la statua della Pietà si incontrassero ad un ballo mascherato non parlerebbero certo di Walter White e nessuno potrebbe volergliene).
Il difetto peggiore della serie è l'ultima puntata, cioè il fatto che ci sia un'ultima puntata, cioè il fatto che la serie sia finita... ed ecco di seguito tre buoni motivi per cui Breaking bad non doveva finire ancora.

1 I AM THE DANGER - Quando vorrò vedere un pelatone pericoloso che non risolve i problemi a suon di bullet time (es. Max Payne), o di splatter-scazzottate (es. Kratos), ma insultando la spalla più giovane e usando le magie della chimica, a chi mi rivolgerò? A chi? Non di certo a Jason Statham!

2 CULTURA - Come ricorderemo gli acronimi dei principali premi televisivi se non ci sarà più Breaking bad a vincerli tutti e a tenerli assieme su di un'unica pagina wikipedia? L'ignoranza dilagherà come la MET blu ad Albuquerque!

3 B I T C H  - Ci sono davvero troppi pochi BITCH nella serie. Considerato l'impegno profuso da Jesse, un altro paio di stagioni avrebbero migliorato la situazione. Di certo l'attore Aaron Paul ha ancora BITCH da vendere! 


Nessun commento:

Posta un commento

http://trecoinquilini.blogspot.it/