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venerdì 7 marzo 2014

Gravity - la recensione dei Tre coinquilini


Gravity è un film da capogiro ed è davvero un film che fa vomitare... vogliamo  forse dire che è allo stesso tempo bello, ma brutto? 

Assolutamente no, vogliamo proprio dire - fuor di metafora - che è un film che fa venire il mal di testa e che mette lo stomaco sottosopra, a causa delle giravolte che la telecamera fa compiere allo spettatore (specie nella prima parte del film) con continue focalizzazioni in prima persona sulla dottoressa Ryan Stone ( Sandra Bullock) alla deriva nello spazio. 


Senza punti di riferimento nel nulla cosmico, stelle e pianeti ci schizzano davanti belli e inquietanti. 
Tutto ciò mentre si continua a volteggiare impotenti nello spazio e una voce (quella di George Clooney nella parte Matt Kowalsky) ci avverte che l'ossigeno scarseggia e che agitarsi peggiora soltanto la situazione. La stessa voce ci ordina di tornare in noi, di riprenderci razionalità e lucidità, di orientarci e trovare le coordinate per poter essere recuperati... e nel frattempo si gira e si gira e si rigira. 
Insomma come si suol dire: vietato ai deboli di stomaco!



La pellicola ha ottenuto ben 10 candidature agli Oscar, vincendo 7 pelatoni d'oro: Miglior regia ad Alfonso Cuarón, Migliori effetti speciali, Miglior fotografia, Miglior montaggio, Miglior colonna sonora, Miglior sonoro e Miglior montaggio sonoro.
La lista dei premi è eloquente: fotografia, effetti speciali e sonoro sono le colonne portanti del film e riescono a restituire quel senso di solitudine "cosmica" che fa da sfondo all'impresa della Bullock - ritornare sulla Terra dopo che il telescopio spaziale Hubble è stato distrutto da una pioggia di detriti.


Non aspettatevi dei chiacchieroni: nel film ci saranno al massimo tre battute, di cui due saranno bruciate all'inizio del film. La pellicola si sviluppa quasi in silenzio - un effetto che amplifica il senso di desolazione e di vuoto - se non fosse per l'accompagnamento musicale del compositore Steven Price e per il respiro dei personaggio nella tuta spaziale... insomma non è il massimo dell'adrenalina, nonostante la situazione angosciosa e ansiogena. Certo George Clooney ha qualche battuta in più, con il compito di portare un po' di sano ottimismo, ma il silenzio in definitiva la fa da padrone. 




Dunque sì, Gravity può annoiare per il suo ritmo, ma regala ai tenaci (e ai duri di stomaco) delle scene eccezionali, potenti, evocative, scene che sorreggono la "rinascita" alla vita e alla voglia di vivere della dottoressa Ryan Stone. 
Senza anticipare nulla sull'esile trama (basata sullo schema "andare dal punto A al punto B"), riportiamo qui di seguito uno dei momenti - a nostro avviso - più significativi del film: la dottoressa Stone, appena spogliatasi della tuta spaziale e dopo il duro percorso tra le stelle, si stringe in sé, si pone in posizione fetale e chiude gli occhi, come se il satellite fosse un ventre materno, come se aspettasse il parto, la vita nuova dopo la catastrofe dell'Hubble. E ancora senza anticipare nulla, un certa scena catartica potrebbe effettivamente esser vista come il parto atteso della dottoressa.


Per concludere, il film è bello, è angosciante ed è noioso... per cui se avete pazienza (e non avete mangiato nulla di pesante), allora guardatelo e non ve ne pentirete, se invece volete qualcosa di più "leggero e veloce", allora rivolgetevi altrove.



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